Bugatti è un costruttore molto particolare, forse l’unica ad aver vissuto 3 differenti vite in 2 diversi paesi. La prima, quella dall’anno – il 1909 – in cui l’emigrato italiano in Francia Ettore Bugatti decise di fondare a Molsheim una casa automobilistica con il suo nome, casa che chiuse i battenti nel 1963. La seconda, dove l’imprenditore Artioli – con la nobile intenzione di far rinascere il marchio – decise di costruire da zero uno stabilimento in provincia di Modena, realizzando una delle migliori supercar della storia, la EB110. Ed infine la terza, che tutti conosciamo bene, iniziata nel 1998 quando il gruppo Volkswagen rilevò il marchio e decise di tornare in Francia. Il resto, è storia recentissima.
Da appassionato, un dubbio mi attanagliava da tempo: come mai, nonostante avesse realizzato una delle auto migliori di quegli anni, con ordini in arrivo da tutto il mondo e con un programma competizioni già avviato, la seconda vita di Bugatti durò solo qualche anno? La risposta me l’ha finalmente data lo stesso Romano Artioli nella splendida intervista-documentario girata dalla tv svizzera Kidstone TV che potete vedere qui sotto.
Artioli afferma che fu messo in pratica un vero e proprio piano di sabotaggio contro Bugatti, piano che prevedeva minacce nei confronti dei fornitori della neonata casa automobilistica. Sembra che l’imprenditore italiano sappia benissimo di chi stia parlando, anche se evita di fare nomi. Secondo lui, uno degli errori più grandi è stato quello di realizzare il tutto “nella bocca del leone”, ovvero in quell’Emilia da sempre regno dei motori.
“Volevo fare tutto in Francia”, ha affermato Artioli nell’intervista, “ma non ci fu niente da fare, i modenesi non gli si schioda. Senza questa gente non si poteva fare la Bugatti”. Che dire, il triste epilogo di una grandiosa avventura durata solo qualche anno. Quello che è sicuro, è che l’intervista qui sotto non può che non lasciare l’amaro in bocca agli appassionati: cosa sarebbero state le Veyron o le Chiron di oggi con un pizzico di passione italiana in più ed un po’ di freddura tedesca in meno?
Ah, qualche mese fa ci siamo fatti un giro nello stabilimento Bugatti di Campogalliano.