Come ogni casa automobilistica tedesca, anche Audi – volente o nolente – ha contribuito a scrivere una delle pagine più buie della storia del nostro mondo. Infatti, lungo tutto il periodo nazista la Auto Union (casa da cui l’attuale Audi trae origine) ha impiegato – se così si può dire – migliaia di schiavi nei suoi stabilimenti nella Germania orientale ed in Baviera.
In più, bisogna ricordare che
Richard Bruhn – ovvero colui che fondò l’Auto Union – era un membro del partito nazista ed ha continuato a gestire l’azienda suddetta anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Di recente, la casa tedesca ha commissionato a due storici – Martin Kukowski e Rudolf Bosch – un’analisi sulle attività dell’Auto Union proprio durante il periodo nazista.
Da questa analisi sono scaturisti risultati che forse nemmeno gli attuali vertici del gruppo Volkswagen si aspettavano: Auto Union ha utilizzato circa 18’000 prigionieri nel suo impianto sotterraneo in Baviera ed altri 16’400 prigionieri all’interno delle sue fabbriche in Germania orientale. Di questi, circa 3’700 erano internati nei campi di concentramento, mentre 4’500 persone sono decedute mentre lavoravano.
Una volta appresi questi dati, Audi ha riconosciuto le proprie colpe ed ha contribuito ad istituire un fondo dell’industria tedesca per cercare di risarcire in qualche modo tutti coloro che sono stati obbligati a lavorare presso gli stabilimenti Auto Union durante l’epoca nazista. Lodevole iniziativa o intelligente opera di marketing? Sinceramente, credo e spero con tutto me stesso nella prima.